È il gioco da tavola più famoso e venduto nel mondo. Ha dato origine ha una miriade di varianti, ma alle sue spalle c'è una storia ricca di contraddizioni.
I classici non invecchiano mai, però si reinventano continuamente. Sarà per questo che di Monopoly, che tra i giochi da tavolo è il classico per definizione, ne esistono tante versioni diverse, da Star Wars a Fortnite, passando per il monopoli ispirato a Breaking Bad e quello dedicato a Super Mario: pare che non ci sia pezzo dell'immaginario pop contemporaneo che non abbia dato vita a una sua versione del boardgame affaristico. E poi, ovviamente, c'è la versione classica, quella con Vicolo Corto e Parco della Vittoria. Un cult intramontabile, anzi da record: è il gioco da tavolo coperto da copyright che ha venduto più copie di sempre. Oggi è venduto in 111 paesi al mondo, è stato tradotto in 43 lingue ed è stato giocato almeno una volta da più di 750 milioni di persone (almeno secondo una stima fatta da Hasbro in occasione del suo settantesimo compleanno).
Giocare con il denaro
Come spiegare un così grande successo? Oltre alla flessibilità che gli ha permesso, come dicevamo, di trovare così tante incarnazioni diverse, sicuramente parte non piccola del suo fascino è esercitata dalla possibilità di giocare con i soldi (benché finti). La prospettiva di vedere moltiplicati i propri averi grazie ai giusti investimenti o a provvidenziali colpi di fortuna, ma anche il brivido di poter perdere tutto, sono certamente elementi che aiutano a spiegare come Monopoly abbia attratto per decenni giocatori di ogni tipo.
In tanti hanno sperimentato per la prima volta cosa significa gestire le proprie finanze proprio attorno al tabellone di questo gioco, ma dato che i soldi non sembrano mai innocenti (neppure quando sono finti) c'è chi ha visto nel Monopoly una esaltazione del capitalismo nei suoi aspetti peggiori: non per nulla a Cuba, poco dopo la rivoluzione castrista, il gioco fu vietato. Per lo stesso motivo il gioco (come simbolo del capitalismo e, per estensione, della cultura USA) fu bandito in Russia fino al crollo dell'Unione Sovietica e lo è tutt'ora in Cina e in Corea del Nord. Eppure, alle origini del gioco non c'era affatto l'intenzione di magnificare il capitalismo ma, anzi, proprio quella di mettere in guardia sulle sue storture e proporre un'ideologia alternativa. Parlando di origini del Monopoly, tuttavia, il discorso si complica, dato che alle spalle del gioco c'è una storia tutt'altro che semplice.
Una storia troppo bella per essere vera
Partiamo dalla storia ufficiale. Per qualche decennio si è creduto che Monopoly fosse stato inventato nel 1933 da Charles B. Darrow, un ingegnere di Philadelphia che si era ritrovato disoccupato in seguito alla Grande Depressione. Darrow realizzò il prototipo del gioco e lo propose alla Parker Brothers, che però inizialmente lo rifiutò.
Ma Darrow non demorse. Decise di produrre in autonomia alcune migliaia di copie del suo gioco per distribuirlo e promuoverlo da solo nei negozi di Philadelphia. Il successo fu tale che nel giro di due anni, nel 1935, la Parker Brothers si ricredette e ne acquistò i diritti per cominciare a produrlo in massa. Nonostante la crisi economica in cui versavano gli Stati Uniti, le vendite furono immediatamente strepitose, con la produzione che arrivò presto a 20mila scatole a settimana. Nei primi due anni sarebbero stati venduti 2 milioni di set: un grande successo che salvò la Parker Brothers (la quale, nonostante fosse la più grande casa produttrice di giochi da tavolo americana, si trovava in gravi difficoltà economiche per colpa della crisi) e che rese Darrow molto ricco. Insomma, sembra la perfetta storia del sogno americano: l'individuo che partendo dal nulla riesce a conquistare ricchezza e successo solo grazie alle sue idee e alla sua tenacia. Una storia troppo bella per essere vera e, infatti, non lo è del tutto.
Le vere origini
La verità è che Barrow non inventò il suo gioco dal nulla, ma si basò su qualcosa che esisteva e circolava già da una trentina di anni. La vera ideatrice delle regole fondamentali del gioco fu una donna, Lizzie Magie, personalità eclettica che tra le altre cose fu attrice e autrice teatrale. Nel 1903 Magie ideò e in seguito brevettò The Landlord's game (qui potete trovare il sito ufficiale), un gioco da tavola dalle meccaniche quasi identiche all'odierno Monopoly. Lo scopo con cui Magie aveva pensato a The Landlord's Game non erano ludico ma educativo: il gioco doveva aiutare a diffondere le idee di Henry George, filosofo ed economista che conobbe una certa popolarità tra ‘800 e ‘900. L'idea intorno a cui ruotava il pensiero di Henry George era che la causa principale della povertà e delle disuguaglianze fosse il possesso delle terre da parte di privati.
In accordo con quelle idee, Magie realizzò un gioco in cui si dimostrava come, in uno scenario in cui si competeva per comprare terreni da cui ricavare guadagni, alla fine una sola persona accentrava su di sé tutte le ricchezze mentre gli altri andavano in rovina, ma in The Landlord's Game esisteva una possibilità poi eliminata nelle successive evoluzioni del gioco: i giocatori potevano allearsi mettendo in comune i ricavi per raggiungere una prosperità diffusa.
Il gioco di Lizzie Maggie non fu mai prodotto a livello industriale, ma conobbe comunque una certa diffusione soprattutto tra gli studenti e i professori di economia e tra i simpatizzanti delle idee socialiste. In quegli anni ne furono realizzate numerose versioni fatte in casa, che riprendevano le regole del gioco originale ma che spesso aggiungevano anche delle varianti, come ad esempio la possibilità di costruire case e alberghi.
Una modifica frequente riguardava il nome dei terreni: in The Landlord's Game, Magie aveva preso come riferimento alcune strade di New York, ma negli anni successivi nacquero varianti locali che riprendevano nomi di vie e luoghi famosi di altre città americane.
Agli inizi degli anni '30, un amico mostrò a Darrow una delle varianti di The Landlord's Game proveniente da Atlantic City e con i nomi dei terreni che si rifacevano alle strade di quella città (la cosa sarà mantenuta nel Monopoly che Darrow produrrà e venderà a Parker Brothers e lo è tutt'ora nella versione classica americana del gioco). Ne rimase così colpito da pensare che potesse valere la pena di commercializzare quel gioco su larga scala: l'unico vero contributo originale che diede fu di usare le sue conoscenze in design industriale per disegnare un tabellone esteticamente gradevole e funzionale: si tratta del tabellone che oggi tutti conosciamo.
La verità viene a galla
Per anni la vera storia dietro alla nascita di Monopoly rimase sconosciuta (intanto Parker Brothers aveva acquistato da Magie anche il brevetto di The Landlord's Game per evitare problemi legali). A farla riemergere saranno le vicende legate a un altro gioco da tavolo e ad una complessa lotta giudiziaria. Nel 1973, infatti, Ralph Anspach creò l'Anti-Monopoly: proprio come Lizzie Magie settant'anni prima, era mosso da un intento educativo: dimostrare quanto fosse nocivo un regime di monopolio come quello verso cui una partita di Monopoly fatalmente conduce. Il suo gioco era quindi una sorta di Monopoly al contrario: si parte da una situazione di monopolio e i giocatori devono agire per ristabilire il libero mercato.
La Parker Brothers non gradì e trascinò in tribunale Anspach per aver usato senza permesso il marchio registrato "Monopoly". Nel preparare la sua difesa, il professore scoprì quasi per caso come dietro alla nascita del gioco ci fosse molto di più di quanto la Parker Brothers lasciava credere: si mise quindi a raccogliere testimonianze di persone che avevano giocato a giochi molto simili a Monopoly prima della sua nascita "ufficiale" e in questo modo finì per ricostruire tutta la storia. La lotta giudiziaria andò poi avanti per circa un decennio. Inizialmente vide prevalere la Parker Brothers e per ordine del giudice migliaia di copie di Anti-Monopoly furono sepolte dai bulldozer in una discarica del Minnesota ma, alla fine, vinse Anspach che nel 1984 vide la Corte Suprema dargli ragione. L'Anti-Monopoly tornò ad essere regolarmente venduto e oggi pace è definitivamente fatta, dato che sia Monopoly che Anti-Monopoly sono prodotti dalla Hasbro.
La versione italiana
Ma torniamo agli anni '30. Dopo il grande successo statunitense, il Monopoly iniziò a essere esportato anche nel resto del mondo. Le principali modifiche tra un'edizione estera e l'altra riguardavano il nome dei terreni. A partire dalla versione inglese (la prima ad essere pubblicata fuori dagli USA), che sostituisce le vie di Atlantic City con quelle di Londra, quasi in ogni Paese si utilizzeranno nomi tratti dalle proprie città. In Italia arrivò tramite il grande editore Arnoldo Mondadori, che nel 1935 ricevette in omaggio una scatola del gioco insieme a una lettera che proponeva l'acquisto dei diritti per pubblicarlo in Italia. Occupandosi di libri e non di giochi, Mondadori non era interessato; tuttavia, lo mostrò ad alcuni traduttori che collaboravano per la sua casa editrice dicendosi disponibile a dare il suo supporto nel caso qualcuno avesse voluto realizzarne una versione italiana.
Tra di loro c'era Emilio Ceretti, già traduttore di importanti scrittori inglesi e americani, che di lì a poco avrebbe fondato Editrice Giochi (la stessa che successivamente creò la versione nostrana di RisiKo!), il cui primo prodotto sarà proprio Monopoli. Per via delle imposizioni culturali del fascismo, che non permetteva l'uso di parole straniere, il nome diventò "Monòpoli", senza la ipsilon finale e l'accento spostato sulla seconda o (in questo modo la pronuncia più che rimandare al concetto di monopolio sembrava ricordare l'omonimo comune pugliese). Il nome internazionale Monopoly è stato ripristinato anche in Italia solo nel 2009. Per i nomi dei terreni, Ceretti si ispirò principalmente alla toponomastica di Milano, con l'eccezione di Vicolo Corto e Vicolo Stretto, che sono una sua invenzione. A parte alcune vie che facevano riferimento al regime fascista (per ovvi motivi modificati nel Dopoguerra), i nomi sono gli stessi ancora presenti nel tabellone italiano.
Un'icona
Oggi Monopoly difende bene la sua posizione di classico assoluto, continuando a essere popolarissimo e a rinascere in nuove versioni e (come ricordavamo in apertura) ibridandosi con ogni tipo di immaginario in voga. A proposito di immaginario, in quello popolare mondiale il Monopoly occupa sicuramente un posto di riguardo. Lo dimostra, tra le altre cose, l'iconicità della sua mascotte: Mr. Monopoly (noto anche come Rich Uncle Pennybags), che con i suoi baffoni e il cilindro - ma senza monocolo, a differenza di come molti ricordano per via di un caso da manuale di effetto Mandela - è diventato l'immagine del ricco stereotipato per eccellenza. Fu inventato nel 1936 dall'illustratore Dan Fox che si ispirò al magnate J. P. Morgan.
Nel frattempo, Monopoly potrebbe diventare anche un film: è un progetto di cui si parla da molti anni (per un certo tempo era stato associato niente meno che a Ridley Scott), senza però che finora si sia concretizzato nulla. Ora, però, anche sulla scia del recente successo cinematografico di Barbie, pare che la volontà di portare il gioco da tavolo sul grande schermo abbia ricevuto un nuovo impulso. Sarà forse la volta buona che Monopoly, dopo aver occupato tante serate tra amici, occuperà anche le sale cinematografiche?
I classici non invecchiano mai, però si reinventano continuamente. Sarà per questo che di Monopoly, che tra i giochi da tavolo è il classico per definizione, ne esistono tante versioni diverse, da Star Wars a Fortnite, passando per il monopoli ispirato a Breaking Bad e quello dedicato a Super Mario: pare che non ci sia pezzo dell'immaginario pop contemporaneo che non abbia dato vita a una sua versione del boardgame affaristico.
E poi, ovviamente, c'è la versione classica, quella con Vicolo Corto e Parco della Vittoria. Un cult intramontabile, anzi da record: è il gioco da tavolo coperto da copyright che ha venduto più copie di sempre. Oggi è venduto in 111 paesi al mondo, è stato tradotto in 43 lingue ed è stato giocato almeno una volta da più di 750 milioni di persone (almeno secondo una stima fatta da Hasbro in occasione del suo settantesimo compleanno).
Giocare con il denaro
Come spiegare un così grande successo? Oltre alla flessibilità che gli ha permesso, come dicevamo, di trovare così tante incarnazioni diverse, sicuramente parte non piccola del suo fascino è esercitata dalla possibilità di giocare con i soldi (benché finti).
La prospettiva di vedere moltiplicati i propri averi grazie ai giusti investimenti o a provvidenziali colpi di fortuna, ma anche il brivido di poter perdere tutto, sono certamente elementi che aiutano a spiegare come Monopoly abbia attratto per decenni giocatori di ogni tipo.
In tanti hanno sperimentato per la prima volta cosa significa gestire le proprie finanze proprio attorno al tabellone di questo gioco, ma dato che i soldi non sembrano mai innocenti (neppure quando sono finti) c'è chi ha visto nel Monopoly una esaltazione del capitalismo nei suoi aspetti peggiori: non per nulla a Cuba, poco dopo la rivoluzione castrista, il gioco fu vietato. Per lo stesso motivo il gioco (come simbolo del capitalismo e, per estensione, della cultura USA) fu bandito in Russia fino al crollo dell'Unione Sovietica e lo è tutt'ora in Cina e in Corea del Nord.
Eppure, alle origini del gioco non c'era affatto l'intenzione di magnificare il capitalismo ma, anzi, proprio quella di mettere in guardia sulle sue storture e proporre un'ideologia alternativa. Parlando di origini del Monopoly, tuttavia, il discorso si complica, dato che alle spalle del gioco c'è una storia tutt'altro che semplice.
Una storia troppo bella per essere vera
Partiamo dalla storia ufficiale. Per qualche decennio si è creduto che Monopoly fosse stato inventato nel 1933 da Charles B. Darrow, un ingegnere di Philadelphia che si era ritrovato disoccupato in seguito alla Grande Depressione. Darrow realizzò il prototipo del gioco e lo propose alla Parker Brothers, che però inizialmente lo rifiutò.
Ma Darrow non demorse. Decise di produrre in autonomia alcune migliaia di copie del suo gioco per distribuirlo e promuoverlo da solo nei negozi di Philadelphia. Il successo fu tale che nel giro di due anni, nel 1935, la Parker Brothers si ricredette e ne acquistò i diritti per cominciare a produrlo in massa. Nonostante la crisi economica in cui versavano gli Stati Uniti, le vendite furono immediatamente strepitose, con la produzione che arrivò presto a 20mila scatole a settimana. Nei primi due anni sarebbero stati venduti 2 milioni di set: un grande successo che salvò la Parker Brothers (la quale, nonostante fosse la più grande casa produttrice di giochi da tavolo americana, si trovava in gravi difficoltà economiche per colpa della crisi) e che rese Darrow molto ricco.
Insomma, sembra la perfetta storia del sogno americano: l'individuo che partendo dal nulla riesce a conquistare ricchezza e successo solo grazie alle sue idee e alla sua tenacia. Una storia troppo bella per essere vera e, infatti, non lo è del tutto.
Le vere origini
La verità è che Barrow non inventò il suo gioco dal nulla, ma si basò su qualcosa che esisteva e circolava già da una trentina di anni.
La vera ideatrice delle regole fondamentali del gioco fu una donna, Lizzie Magie, personalità eclettica che tra le altre cose fu attrice e autrice teatrale. Nel 1903 Magie ideò e in seguito brevettò The Landlord's game (qui potete trovare il sito ufficiale), un gioco da tavola dalle meccaniche quasi identiche all'odierno Monopoly.
Lo scopo con cui Magie aveva pensato a The Landlord's Game non erano ludico ma educativo: il gioco doveva aiutare a diffondere le idee di Henry George, filosofo ed economista che conobbe una certa popolarità tra ‘800 e ‘900.
L'idea intorno a cui ruotava il pensiero di Henry George era che la causa principale della povertà e delle disuguaglianze fosse il possesso delle terre da parte di privati.
In accordo con quelle idee, Magie realizzò un gioco in cui si dimostrava come, in uno scenario in cui si competeva per comprare terreni da cui ricavare guadagni, alla fine una sola persona accentrava su di sé tutte le ricchezze mentre gli altri andavano in rovina, ma in The Landlord's Game esisteva una possibilità poi eliminata nelle successive evoluzioni del gioco: i giocatori potevano allearsi mettendo in comune i ricavi per raggiungere una prosperità diffusa.
Il gioco di Lizzie Maggie non fu mai prodotto a livello industriale, ma conobbe comunque una certa diffusione soprattutto tra gli studenti e i professori di economia e tra i simpatizzanti delle idee socialiste.
In quegli anni ne furono realizzate numerose versioni fatte in casa, che riprendevano le regole del gioco originale ma che spesso aggiungevano anche delle varianti, come ad esempio la possibilità di costruire case e alberghi.
Una modifica frequente riguardava il nome dei terreni: in The Landlord's Game, Magie aveva preso come riferimento alcune strade di New York, ma negli anni successivi nacquero varianti locali che riprendevano nomi di vie e luoghi famosi di altre città americane.
Agli inizi degli anni '30, un amico mostrò a Darrow una delle varianti di The Landlord's Game proveniente da Atlantic City e con i nomi dei terreni che si rifacevano alle strade di quella città (la cosa sarà mantenuta nel Monopoly che Darrow produrrà e venderà a Parker Brothers e lo è tutt'ora nella versione classica americana del gioco).
Ne rimase così colpito da pensare che potesse valere la pena di commercializzare quel gioco su larga scala: l'unico vero contributo originale che diede fu di usare le sue conoscenze in design industriale per disegnare un tabellone esteticamente gradevole e funzionale: si tratta del tabellone che oggi tutti conosciamo.
La verità viene a galla
Per anni la vera storia dietro alla nascita di Monopoly rimase sconosciuta (intanto Parker Brothers aveva acquistato da Magie anche il brevetto di The Landlord's Game per evitare problemi legali).
A farla riemergere saranno le vicende legate a un altro gioco da tavolo e ad una complessa lotta giudiziaria.
Nel 1973, infatti, Ralph Anspach creò l'Anti-Monopoly: proprio come Lizzie Magie settant'anni prima, era mosso da un intento educativo: dimostrare quanto fosse nocivo un regime di monopolio come quello verso cui una partita di Monopoly fatalmente conduce.
Il suo gioco era quindi una sorta di Monopoly al contrario: si parte da una situazione di monopolio e i giocatori devono agire per ristabilire il libero mercato.
La Parker Brothers non gradì e trascinò in tribunale Anspach per aver usato senza permesso il marchio registrato "Monopoly". Nel preparare la sua difesa, il professore scoprì quasi per caso come dietro alla nascita del gioco ci fosse molto di più di quanto la Parker Brothers lasciava credere: si mise quindi a raccogliere testimonianze di persone che avevano giocato a giochi molto simili a Monopoly prima della sua nascita "ufficiale" e in questo modo finì per ricostruire tutta la storia.
La lotta giudiziaria andò poi avanti per circa un decennio. Inizialmente vide prevalere la Parker Brothers e per ordine del giudice migliaia di copie di Anti-Monopoly furono sepolte dai bulldozer in una discarica del Minnesota ma, alla fine, vinse Anspach che nel 1984 vide la Corte Suprema dargli ragione. L'Anti-Monopoly tornò ad essere regolarmente venduto e oggi pace è definitivamente fatta, dato che sia Monopoly che Anti-Monopoly sono prodotti dalla Hasbro.
La versione italiana
Ma torniamo agli anni '30. Dopo il grande successo statunitense, il Monopoly iniziò a essere esportato anche nel resto del mondo. Le principali modifiche tra un'edizione estera e l'altra riguardavano il nome dei terreni. A partire dalla versione inglese (la prima ad essere pubblicata fuori dagli USA), che sostituisce le vie di Atlantic City con quelle di Londra, quasi in ogni Paese si utilizzeranno nomi tratti dalle proprie città.
In Italia arrivò tramite il grande editore Arnoldo Mondadori, che nel 1935 ricevette in omaggio una scatola del gioco insieme a una lettera che proponeva l'acquisto dei diritti per pubblicarlo in Italia.
Occupandosi di libri e non di giochi, Mondadori non era interessato; tuttavia, lo mostrò ad alcuni traduttori che collaboravano per la sua casa editrice dicendosi disponibile a dare il suo supporto nel caso qualcuno avesse voluto realizzarne una versione italiana.
Tra di loro c'era Emilio Ceretti, già traduttore di importanti scrittori inglesi e americani, che di lì a poco avrebbe fondato Editrice Giochi (la stessa che successivamente creò la versione nostrana di RisiKo!), il cui primo prodotto sarà proprio Monopoli.
Per via delle imposizioni culturali del fascismo, che non permetteva l'uso di parole straniere, il nome diventò "Monòpoli", senza la ipsilon finale e l'accento spostato sulla seconda o (in questo modo la pronuncia più che rimandare al concetto di monopolio sembrava ricordare l'omonimo comune pugliese).
Il nome internazionale Monopoly è stato ripristinato anche in Italia solo nel 2009.
Per i nomi dei terreni, Ceretti si ispirò principalmente alla toponomastica di Milano, con l'eccezione di Vicolo Corto e Vicolo Stretto, che sono una sua invenzione. A parte alcune vie che facevano riferimento al regime fascista (per ovvi motivi modificati nel Dopoguerra), i nomi sono gli stessi ancora presenti nel tabellone italiano.
Un'icona
Oggi Monopoly difende bene la sua posizione di classico assoluto, continuando a essere popolarissimo e a rinascere in nuove versioni e (come ricordavamo in apertura) ibridandosi con ogni tipo di immaginario in voga.
A proposito di immaginario, in quello popolare mondiale il Monopoly occupa sicuramente un posto di riguardo. Lo dimostra, tra le altre cose, l'iconicità della sua mascotte: Mr. Monopoly (noto anche come Rich Uncle Pennybags), che con i suoi baffoni e il cilindro - ma senza monocolo, a differenza di come molti ricordano per via di un caso da manuale di effetto Mandela - è diventato l'immagine del ricco stereotipato per eccellenza. Fu inventato nel 1936 dall'illustratore Dan Fox che si ispirò al magnate J. P. Morgan.
Nel frattempo, Monopoly potrebbe diventare anche un film: è un progetto di cui si parla da molti anni (per un certo tempo era stato associato niente meno che a Ridley Scott), senza però che finora si sia concretizzato nulla.
Ora, però, anche sulla scia del recente successo cinematografico di Barbie, pare che la volontà di portare il gioco da tavolo sul grande schermo abbia ricevuto un nuovo impulso. Sarà forse la volta buona che Monopoly, dopo aver occupato tante serate tra amici, occuperà anche le sale cinematografiche?
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