I migliori speakeasy italiani: alla scoperta dei cocktail bar segreti

Da Torino a Napoli, un viaggio nei cocktail bar che ci riportano all'epoca del proibizionismo. Tra stile retrò e una proposta di qualità per bere bene.

I migliori speakeasy italiani: alla scoperta dei cocktail bar segreti
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Passaggi segreti, rebus e parole d'ordine per arrivare al bersaglio, cioè un salto nel secolo scorso, quando negli Anni Venti ci si ritrovava in locali piccoli e nascosti, in un atmosfera ovattata caratterizzata da luci soffuse, il fumo dei sigari e parole bisbigliate per godersi il desiderato scotch e sperare di farla franca ancora una volta.
Questi sono stati gli speakeasy, i bar illegali nati negli Stati Uniti nell'era del proibizionismo, avviata nel gennaio del 1920 dal Volstead Act, la legge che stabilì il divieto di produrre, vendere e importare prodotti alcolici, incluso il consumo nei bar. Oltre ad aprire la strada al contrabbando che determinò i primi passi di gangster come Al Capone, la norma costrinse chi al buon bere non voleva rinunciare a escogitare un'alternativa fuorilegge, quindi lontana da orecchie e occhi indiscreti. Per evitare di essere scoperti, titolari e avventori dovevano abolire insegne per mimetizzarsi con i locali vicini, ma soprattutto i rumori molesti, quindi "speak easy", ossia tono di voce basso per continuare a esistere e ritrovarsi per bere anche il giorno dopo.

Cosa fare (e non fare) negli speakeasy

Tra porte girevoli adiacenti una macelleria, armadi magici collegati a un barber shop, ma anche anonime retrobotteghe o insospettabili scantinati di abitazioni private, gli speakeasy divennero un fenomeno molto diffuso nell'America a cavallo del 1920-1930, tanto che segretezza, silenzio e luoghi spartani diventarono abitudine per centinaia di migliaia di cittadini.
Per farsi un'idea basta pensare che solo a New York si arrivò a circa 32.000 speakeasy. Le difficoltà del tempo hanno accentuato la voglia di un buon cocktail, cambia poco se per godere o per dimenticare.

Oggi che l'alcol non è più vietato e si può bere quasi ovunque, questi locali si sono fatti più raffinati nel design e ricercati nella proposta, mantenendo tuttavia alcuni capisaldi dell'epoca: bisogna rispettare le regole decise dalla proprietà, non bisogna creare confusione né alzare la voce, in alcuni casi si può ancora fumare all'interno del locale, in tutti i casi non si deve stare con lo smartphone in mano o passare il tempo (limitato) a scattare fotografie per farsi vedere dagli amici virtuali.

Se in qualche caso conta pure la forma, nello specifico presentarsi con un abbigliamento consono alla situazione, al centro degli speakeasy c'è l'arte della mixology, grazie a cui si delinea la lista delle proposte originali che resta il primo fattore nel determinare il livello dei secret bar sparsi per il mondo.

I migliori speakeasy d'Italia

Il nostro giro d'Italia tra gli speakeasy da non mancare inizia da Milano, che per la quantità e varietà di offerta va considerata il centro del mondo che guarda al passato con la ricercatezza e l'esclusività tipici delle proposte meneghine. Il 1930 è forse il miglior esempio in questo senso, perché nasce nel 2013 come meta prediletta per i clienti più affezionati del Mag Café ideato da Flavio Angiolillo. A pochi intimi è concessa la conoscenza della posizione, definita in maniera generica in zona Piazza Cinque Giornate.

Arrivarci non è semplice, perché bisogna prima conquistarsi il posto, frequentando e convincendo i proprietari del Mag, ma anche perché si accede dal retrobottega di un bar cinese. Composto da due sale e ispirato ai tempi della Belle Époque, qui ci si lascia trasportare dal suono del pianoforte, mentre si degusta un cocktail in tranquillità seduti comodamente su poltrone e divani di velluto. La scelta per bere è ampia e particolare, anche se provare il 1930 è un buon primo passo per immergersi nel clima del locale.

Pareti in legno, curata oggettistica da far impallidire un locale inglese (cui l'arredo strizza l'occhio) e un ambiente mignon che ne fa il bar più piccolo al mondo. Quattro metri quadrati (4, sì hai letto bene) nel cuore dei Navigli, rendono Backdoor 43 una perla assoluta per gli amanti del genere, che qui trovano più di 200 etichette e barman molto sapienti nel miscelare gli ingredienti. Tutto dipende, però, dall'attenzione, poiché bisogna muoversi in anticipo al fine di essere uno dei fortunati quattro eletti ammessi all'interno, con la possibilità di sedersi su uno dei tre sgabelli dinanzi al bancone.

La prenotazione consente di avere la parola d'ordine e la chiave per trascorrere i sessanta minuti a disposizione, a patto di scovare il locale nel vortice di proposte della movida milanese. Una regola per evitare brutte sorprese: bisogna pazientare se ci si trova di fronte all'avviso "qualche istante d'attesa, stiamo servendo all'interno", poiché lo spazio è piccolo ma il barman non si ferma mai (si può anche prenotare per consumare altrove).

Restiamo ancora nella capitale della moda perché il catalogo propone un luogo singolare come il White Rabbit, dove i cocktail sono confezionati da barman e barwoman con il volto coperto dalla maschera di un coniglio.

Più recente degli altri, ha aperto i battenti nel 2018 in zona Isola, al locale si accede passando dalla porta di un armadio svelando la parola d'ordine cui si arriva risolvendo un indovinello. Una volta dentro ci si ritrova in una bisca clandestina newyorchese degli anni Trenta, con riviste e quadri dell'epoca inseriti in un arredo vintage che rimanda ai tempi dei boss di quartiere: non a caso i signature cocktail si ordinano scorrendo la ‘criminal list'.

Ci spostiamo a Torino perché qui sorge il Mad Dog Social Club, progetto nato all'interno del The Jerry Thomas Project di Roma (vedi sotto), dove il buon bere incontra la buona musica. Mentre sul palco si alternano swing, jazz e pianoforte, l'accesso è riservato a chi trova la risposta agli interrogativi rilasciati sul profilo Instagram del locale. Oltre all'ambiente, a colpire è anche il modo in cui li realizzano i cocktail, con gli ingredienti spillati dalle botti e dalle giare in vetro e in bellavista.

Amplia la scelta ma è meglio evitare di chiedere uno Spritz, che è il modo più sicuro per restare lontano dalle ambite fiches rosse o nere, che garantiscono l'ingresso singolo o in coppia e sono destinati ai clienti più affezionati.

Scendiamo da Torino verso i vicoli di Genova perché è doverosa una fermata al Malkovich, locale unico anche e non solo perché ubicato sotto una hamburgeria. Purtroppo si è persa l'abitudine dei primi anni, quando girava solo una chiave e bisognava guadagnarsi il posto affinché qualcuno te la infilasse in una tasca. Il tema dominante qui è il cinema, quindi chi non è avvezzo alla settima arte rischia di restare fuori o non godersi appieno il clima.
Perché per entrare bisogna sapere la parola d'ordine, legata appunto al titolo di un film (cambia ogni sera) e un numero di telefono, il cui squillo rappresenta il passepartout. Anche il ventaglio di proposte da bere è collegato al grande schermo, nello specifico ad alcuni dei titoli più popolari della storia del cinema. Un consiglio è guardare bene l'entrata, poiché si esce da un'altra parte e non la rivedrete più.

"La regola numero uno è che il bartender ha sempre ragione. Se il bartender ha torto vedi la regola numero 1". Regole chiare vigono al Cotton Club di Modena, nome che è tutto un programma per l'ambientazione ispirata al celebre night club di Harlem, nella New York in cui risuonavano le note jazz più popolari della storia. Non c'e insegna e si entra previa tessera Arci grazie all'invito di un membro.

Solo in questo modo è ammesso suonare il mini campanello che può spalancarvi le porte del locale inaugurato nel 2015 e caratterizzato dall'impossibilità di restare in piedi. Si beve seduti, si parla a bassa voce, si preferiscono piccole compagnie ad allegre brigate e non sono ammessi gli smartphone. Ultima ma non per importanza un'altra norma: "Se stai bevendo per dimenticare, per favore paga in anticipo".

Dall'Emilia arriviamo a Roma, dove come a Milano la lista delle destinazioni è lunga e di alta qualità. La precedenza è d'obbligo per The Jerry Thomas, che nel 2010 è stato il primo speakeasy aperto in Italia. Vicino Campo dei Fiori, in pieno centro storico, si cela dietro una porta rossa, che si spalanca solo dopo aver verificato la parola d'ordine, da rintracciare seguendo il profilo Instagram e il sito del locale. Qui dentro niente vino e birra, si punta a bere bene invece che tanto e un occhio di riguardo all'abbigliamento è sempre meglio averlo.

Il nome del locale omaggia l'autore di The Bar Tender's Guide, la prima pubblicazione sui cocktail, il Jerry Thomas è un luogo secreto quanto sacro nella Capitale, anche e non solo per la qualità della mixology. Del resto stiamo parlando di una presenza fissa nelle varie classifiche dei migliori cocktail bar del mondo. La longevità e la bontà dell'iniziativa, inoltre, hanno permesso ai titolari di avviare un programma education, con percorsi specifici per chi vuole avvicinarsi alla miscelazione.

Passaggi introvabili e un armadio bianco da aprire dopo aver ricavato il numero di telefono giusto seguendo i profili social del locale. Bisogna insomma desiderarlo l'accesso al Club Derrière, speakeasy molto noto in città e non solo, anche per i collegamenti segreti con l'Osteria delle Coppelle, che si trova nel centro di Roma.

Regole chiare e una dozzina di miscelature firmate da un team arguto, sono parte integrante di un rifugio intimo quanto ricercato, con l'atmosfera dei tempi che furono creata già dal percorso per garantirsi l'ingresso. Aperto tutte le sere dalle 22 alle 4, non accetta prenotazione il venerdì e il sabato.

Ex carboneria nel 1870, studio di registrazione a fine Anni Cinquanta e poi bisca clandestina. Basta questo per farsi un'idea dell'unicità di The Race Club, speakeasy dietro il Colosseo battezzato nel 2015 da una coppia di fratelli romani che hanno unito la passione per i motori con la qualità da gustare nel bicchiere.
Si accede all'officina meccanica con la speciale patente del locale (cioè la tessera associativa di 5 euro), mentre per il rifornimento c'è la lista dei cocktail, divisi tra classici e proposte non alcoliche (nomi alla mano, Al Pachino svetta su tutti).

Per dare un senso migliore al bere, al Race Club si corre in soccorso di chi sta peggio con la Charity drink list, con una parte del costo del cocktail che va a sostenere una causa benefica (sul sito del locale sono elencati i progetti sostenuti nel corso del tempo).

Tappa finale del viaggio è Napoli, precisamente via Vannella Gaetani, a Chiaia, dove a breve distanza da Castel dell'Ovo c'è L'Antiquariato. Se l'indirizzo è pubblico, il portone in legno è privo di insegna e perennemente chiuso, perché serve la parola magica per assicurarsi l'ingresso nel locale inaugurato nel 2015 sui resti di un negozio dedicato a vecchi mobili e oggetti d'arredo.
Divanetti e tavolini bassi da una parte, poltrone e tende di velluto dall'altra, riempiono uno spazio in cui la scena è dominata dalla ricca bottigliera e dalla musica jazz e swing evocata dal pianoforte.

I bartender sono riconoscibili dalla giacca bianca, il locale invece si è fatto riconoscere presto come uno dei migliori dello Stivale, come dimostrano le molte collaborazioni con altri assi della mixology. Una delle più recenti è stata la partnership con il Donovan Bar di Londra, popolare riferimento d'oltremanica e parte integrante del Brown's Hotel a Mayfair.