El Greco a Milano: svelare il mistero del più grande artista spagnolo

La mostra biografica dedicata ad El Greco è partita a Milano l'11 ottobre. Noi di Everyeye l'abbiamo vista in anteprima: ecco il nostro resoconto!

El Greco a Milano: svelare il mistero del più grande artista spagnolo
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La mostra milanese dedicata a El Greco ha aperto i battenti l'11 ottobre. Senza alcun dubbio, si tratta di uno dei principali appuntamenti artistici del 2023, una vera e propria mostra-evento la cui attrattiva presso il grande pubblico potrebbe risultare seconda solo a quella dell'esposizione dedicata all'altro Maestro spagnolo, Francisco Goya, che partirà il 31 ottobre. Non a caso, i primi numeri della mostra dedicata ad El Greco sono incredibili: il CEO di MondoMostre Simone Todorow ha infatti spiegato che per vedere i capolavori dell'artista di origini greche si sono già prenotati ben 25.000 spettatori.
E ancora, non stupisce che Domenico Piraina, Direttore dal 1993 di Palazzo Reale (che ospita la mostra), abbia definito quella su El Greco «una delle esposizioni più importanti di sempre, per la storia di Palazzo Reale, una mostra completa e con un lavoro immenso alle proprie spalle, basato su rapporti di prestito di prestigio con istituzioni di tutto il mondo».

Noi di Everyeye abbiamo avuto il privilegio di partecipare alla presentazione in anteprima della mostra, di assistere ad una preziosa spiegazione dei curatori Juan Antonio García Castro e Palma Martínez-Burgos García e di vedere le magnifiche opere che si snodano attraverso le sue sale prima dell'apertura al pubblico. Ecco il nostro resoconto.

El Greco tra Creta, Roma e Toledo

L'impianto della mostra, che si articola in cinque sezioni e una quindicina di sale, è dei più classici: esposte abbiamo poco più di 50 opere, 41 attribuite a El Greco e un'altra decina di grandi pittori italiani come Tintoretto, Jacopo Bassano e Tiziano, che vengono messi a confronto con il Maestro spagnolo. Parliamo di un'articolazione essenzialmente classica perché, al netto di un accorpamento in sezioni tematiche (di cui parleremo a breve), il percorso espositivo è ordinato cronologicamente, permettendo ai visitatori di ripercorrere l'intera carriera dell'artista, nonché la sua vita privata. Un'opportunità di pregio per chiunque apprezzi le opere di El Greco, perché grazie al percorso ideato dai curatori è possibile toccare con mano l'evoluzione dell'arte e dell'ideologia di quello che senza dubbio è il più grande esponente del tardo Rinascimento spagnolo.

L'idea è di successo perché solleva il velo di Maya che ancora nasconde - almeno agli occhi del grande pubblico - l'uomo dietro all'artista. El Greco ha fama di essere un artista misterioso ed enigmatico, sconosciuto persino agli studiosi.
Il "mito" dell'autore è nato in virtù della parabola (se così la possiamo chiamare) di cui la sua notorietà post-mortem ha goduto: caduto nell'oblio della storia dell'arte tra Seicento e Ottocento, El Greco è stato riscoperto a inizio XX secolo, insieme ad altri artisti oggi ritenuti "misteriosi" o persino controversi, come Caravaggio e Georges De La Tour. Eppure, di El Greco sappiamo tutto: grandissimo merito della mostra è dunque quello di rendere disponibili al pubblico anche le più recenti informazioni scoperte dal mondo accademico e scientifico sulla sua figura.

Per esempio, partiamo con il chiamare El Greco con il suo nome di battesimo: Domínikos Theotokópoulos.

L'artista, come spiega chiaramente il suo nome, non è di origini spagnole. Egli nasce, tra il 1540 e il 1541, a Candia, attualmente nota come Iraklio, la città più importante dell'isola di Creta. La sua vita si svolge a cavallo tra le isole dell'Egeo, all'epoca sotto dominio veneziano, l'Italia centrale e, soprattutto, la Spagna, dove Domínikos visse per 37 anni. Tutte e tre queste terre hanno formato l'artista, accompagnandolo nella sua carriera pittorica e influenzandone lo stile, uno dei più riconoscibili dell'intera storia dell'arte. El Greco si forma come un pittore di icone post-bizantine a Creta, seguendo la neonata corrente della scuola cretese, che reimmaginava la produzione iconica bizantina in chiave moderna e che visse il suo momento d'oro tra il XV e il XVI secolo, dopo la caduta di Costantinopoli in mano ottomana.

Il Trittico di Modena: l'interno...

...E l'esterno

Non è dunque un caso che la mostra comprenda alcune delle opere di El Greco che più somigliano alle icone greche, come l'Adorazione dei Magi (del 1568-1569), l'Annunciazione (1576) e il Battesimo di Cristo (1567 ca.), nonché una serie di icone di origine greca, quali la Dormizione della Vergine Maria e la Trasfigurazione, entrambe di inizio XVI secolo. Eppure, il periodo di El Greco come pittore di icone non dura a lungo, né è il più importante della sua carriera: presto, infatti, l'artista decide di cercare fortuna in Italia.

Per questo, egli si trasferisce a Venezia e poi in Italia Centrale: in totale, però, l'artista rimase nel Bel Paese per meno di dieci anni. El Greco fu a Venezia - che all'epoca controllava Creta - tra il 1567 e il 1570, per poi trasferirsi a Roma, dove rimase fino al 1577.

Il periodo italiano modificò radicalmente il suo stile: El Greco, infatti, entrò in contatto con l'arte di Tiziano, Jacopo Bassano, Tintoretto e Veronese, che non a caso sono tra gli artisti scelti dai curatori come "giustapposizione" alle opere del Maestro greco naturalizzato spagnolo.
Per di più, egli poté lavorare a stretto contatto con le botteghe di questi artisti, che influirono sul suo tratto, sul suo uso dei colori, sulla sua visione della prospettiva. E poi, El Greco fu un estimatore del Parmigianino e del Correggio, due artisti a cui ancora oggi il grande pubblico italiano non rivolge la giusta attenzione. Al progresso artistico personale di Domínikos non fa però seguito la tanto sperata "scalata" dei ranghi tra gli artisti italiani: aspramente criticato nel Centro Italia per il modernismo di alcune sue scene, visto di cattivo occhio a Roma per via della sua origine "veneziana" e stretto in un mondo che non sentiva suo, ormai immerso nello spirito della Controriforma scaturita dalla conclusione del Concilio di Trento nel 1563, El Greco decide di abbandonare l'Italia per recarsi in Spagna.

Ed è proprio la penisola iberica a ospitare l'artista per quasi quarant'anni, dal 1577 fino alla morte, nel 1614. Domínikos sceglie la città di Toledo, ex-capitale politica della Spagna (era stata "rimpiazzata" da Madrid nel 1561), che però ancora conservava il ruolo di centro religioso della regione e aveva una popolazione enorme. Al contempo, a pochi chilometri da Madrid, gli Asburgo, che da un paio di generazioni sedevano anche sul trono spagnolo, avevano iniziato i lavori per il monumentale palazzo-monastero dell'Escorial.
In un proliferare di chiese, conventi e monasteri, in Spagna la richiesta di artisti era alle stelle... ma a nessuno importava di El Greco. Filippo II voleva anzi "importare" i grandi autori italiani, che però rifiutarono. Poi si rivolse a uno spagnolo, che morì precocemente. Infine, fu la volta di El Greco, che ottenne il patronato di Filippo II d'Asburgo per la realizzazione di alcune opere, che però non piacquero al sovrano: troppo lontane dai registri formali imposti dalla Controriforma, mentre l'inclusione di abiti moderni e personaggi viventi nelle scene religiose era considerata disturbante e dissacrante.

Il patronato venne revocato e El Greco si rassegnò: non sarebbe mai stato un pittore di corte. Alla fine, dunque El Greco rimase a Toledo, dove continuò a svolgere commissioni minori. La fama non arrivò neanche in tarda età, e nemmeno postuma: solo tre secoli dopo, la sua figura venne riscoperta dagli studiosi. Furono solo in pochi ad accorgersi della grandezza del Maestro cretese: tra questi, Fra' José de Siguenza, che di lui disse: «Di un Domenico Greco, che vive e fa cose mirabili a Toledo, è rimasto un quadro di San Maurizio e dei suoi soldati eseguito per l'altare di quel santo; non accontentò Sua Maestà perché accontenta pochi, benché dicano che esso sia di molta arte e che il suo autore sia assai capace, come si vede in altre cose eccellenti di sua mano».

Cinque "tappe" per conoscere El Greco

Oggi, El Greco viene annoverato tra i migliori pittori spagnoli di sempre, insieme a Diego Velazquez, Francisco Goya e Pablo Picasso. Al pittore cretese si fanno risalire addirittura le origini del siglo de oro dell'arte spagnola, che dal tardo Rinascimento e dal Manierismo sfociò poi nell'opulento e sfarzoso Barocco iberico.

Insomma, quella di El Greco è un'arte complessa, stratificata e fuori dai canoni del periodo in cui è vissuto (ci torneremo, non vi preoccupate). E la mostra milanese la mostra al meglio in tutte le sue sfaccettature. Il percorso espositivo è diviso in cinque sezioni, ciascuna composta da un numero variabile di sale (2-3 per le più piccole; 4-5 per le più grandi). La prima è intitolata "Il Bivio" e affronta gli esordi di El Greco nella scuola cretese, toccando anche il suo successivo apprendistato a Venezia e a Roma. Le opere sono quelle icone già citate in precedenza, a cui si aggiungono il Trittico di Modena, un piccolo altare "portatile", e il San Francesco che riceve le stigmate, insieme a due Annunciazioni: una realizzata in Italia e l'altra in Spagna. L'obiettivo della sezione? Mostrare la maturazione artistica del giovane Domínikos, che da artista di icone bizantino si "latinizza" una volta giunto in occidente, diventando dapprima un pittore alla maniera italiana e poi un artista spagnolo, senza per questo però perdere completamente di vista la sua patria.

La seconda sezione della mostra è una delle più ampie: intitolata "Dialoghi con l'Italia", essa mostra le opere italiane di El Greco, insieme a quelle di alcuni Maestri nostrani, per illustrare la diretta influenza che questi ultimi hanno avuto sull'artista greco-spagnolo. Per questo, esplorando le sale di Palazzo Reale vi capiterà di vedere, una accanto all'altra, due scene quasi identiche: uguali i vestiti, uguali le pose, simili le composizioni e persino i colori. Ma potrete notare che solo una delle due opere è di El Greco: l'altra, invece, è di Michelangelo, Tiziano e via dicendo.
L'obiettivo dei curatori era quello di evidenziare come l'arte italiana abbia pervaso e orientato la formazione dell'artista. Ci sono riusciti in pieno, grazie anche a prestiti che vanno dalla National Gallery di Washington al Museo del Louvre di Parigi, fino al Prado di Madrid.

La terza sezione si chiama "Dipingere la Santità" e parla della vita di El Greco a Toledo, come pittore religioso: molti dei capolavori racchiusi nelle sale di metà mostra sono poco noti al grande pubblico, visto che si tratta di opere oggi sparse tra diverse città iberiche, ma comprendono il grosso della produzione dell'artista.
Anche qui, obiettivo delle sale è quello di mostrare un'altra importante influenza sull'autore: quella della Controriforma cattolica, di cui Toledo era il centro più fervente nella Spagna di fine XVII secolo. Le scene devozionali di questa sezione, come il Cristo Agonizzante, la Madonna col Bambino, l'Incoronazione della Vergine e l'Orazione nell'orto, però, mettono in luce le specificità dell'arte del Greco, che mai volle adeguarsi del tutto allo stile artistico imposto dal Concilio di Trento per la pittura sacra cattolica.

Le ultime due sezioni della mostra sono le più piccole ma, per certi versi, anche le più importanti. La quarta è intitolata "L'Icona, di nuovo", e illustra l'ultima fase della vita e dell'arte di El Greco, caratterizzata, dopo aver mancato un patronato regale rimasto per anni un'illusione, da un ritorno al mondo greco e alle sue icone. La produzione di questo periodo, che pure mantiene uno stile pienamente latino, utilizza le regole formali dell'arte bizantina, rimuovendo dalla scena ogni orpello artistico che possa distogliere il fedele dallo scopo principale dell'arte sacra: la preghiera e la devozione. Ecco dunque che il Cristo Salvatore e il Cristo che Regge la Croce propongono una visione diversa della tradizionale figura del Salvatore, a metà tra il mondo latino e quello orientale greco.

Infine, l'ultima sezione della mostra - che si discosta dalle altre per temi e composizione - è El Greco nel Labirinto, e presenta due sole opere. La prima è il Gruppo Statuario del Laocoonte, realizzato nel 1957 da Silvio Ferri e Luigi Mercatalli, che riproduce la più famosa scultura del periodo ellenico, attualmente conservata ai Musei Vaticani. La seconda è, ovviamente, il Laocoonte di El Greco, opera incompiuta e datata tra il 1610 e il 1614, anno della morte dell'artista.
Il Laocoonte è l'ultima opera di El Greco, ma anche l'unica a soggetto mitico mai realizzata dall'artista: si tratta di un capitolo tardivo della sua produzione, mai completamente aperto per via della dipartita del Maestro e che simboleggia un ritorno di Domínikos alle sue origini greche, non più bizantine ma classiche. Forse l'unico momento della vita di El Greco che ancora resta un mistero per gli studiosi.

El Greco e l'Italia, El Greco e il Moderno

Dopo aver ammirato le 54 opere che compongono la mostra, uno spettatore attento si porta a casa un affresco completo sulla vita e l'arte di El Greco: la visita è piacevole e attentamente studiata, con una museologia intelligente (la collocazione delle opere, la giustapposizione tra pittura italiana, greca e spagnola, l'uso impeccabile dell'illuminazione e le didascalie brevi, semplici e facilmente comprensibili sono simbolo di una cura maniacale) e un catalogo di grandissimi pregio (edito da Skira) rivolto al pubblico più appassionato.

Tuttavia, paragonare dell'esposizione di Palazzo Reale ad una camminata "biografica" tra le opere di El Greco è riduttivo, perché mette da parte l'incredibile lavoro di studio svolto dai curatori Juan Antonio García Castro, Palma Martínez-Burgos García e Thomas Clement Salomon, nonché la categorizzazione tematica della mostra. Come abbiamo già spiegato, il percorso cronologico della mostra è diviso in sezioni, che sì ripercorrono la vita di Domínikos Theotokópoulos, ma lo fanno puntando risolutamente su temi ed elementi ricorrenti, sulle categorizzazioni e su una "sistemazione" delle opere volta a facilitare la comprensione del pubblico. Senza dubbio, lo scopo dei curatori è quello di rimuovere l'alone di mistero che ancora circonda El Greco: egli è ormai un artista pienamente (o quasi) conosciuto, non certo un "caso unico" ed enigmatico nella produzione spagnola. El Greco è un pittore del suo tempo e le sue opere sono lo specchio della sua vita, dei suoi viaggi e delle influenze che ha subito. Certo, la sua è un'arte «senza tempo», come è stato più volte ripetuto durante la presentazione della mostra, ma è pur sempre un'arte figlia di un contesto storico preciso, e per questo può essere studiata scientificamente (ed è stata studiata scientificamente: questa esposizione lo dimostra).

Poi, El Greco non è (solo) un pittore spagnolo. Per certi versi, dire che El Greco fosse un artista spagnolo è un po' come dire che Leonardo da Vince fosse francese, con i dovuti distinguo. Indubbio è che la Spagna sia stata la casa del Maestro per buona parte della sua vita.
Fuor di dubbio è però anche che la formazione di Domínikos Theotokópoulos non fosse spagnola, o quantomeno non solo: essa era greco-cattolica, cretese, italiano-rinascimentale e, solo poi, iberica. Le prime sale della mostra lo spiegano chiaramente: El Greco è cresciuto prima dipingendo icone e poi imparando dai grandi pittori del Rinascimento romano.

Ciò non significa sottovalutare l'apporto spagnolo alla vita dell'autore, ma semmai favorirne una comprensione più completa, senza disdegnare le componenti non-iberiche della sua professionalità. Non è un caso che il pittore più simile a El Greco sia il Parmigianino, che gode di un maggiore successo all'estero (in Spagna soprattutto, visto che tante sue opere si trovano esposte al Prado) che in Italia, così come non è un caso che alcune delle opere più famose e rappresentative di El Greco abbiano una chiara componente greca: il Laocoonte, le Annunciazioni e la Trinità sono tutti capolavori con un cuore bizantino, che possiamo ravvisare nelle pose, nei colori e nelle proporzioni, brillantemente messe in evidenza dalla mostra milanese.

Infine, El Greco è un pittore contemporaneo. Non è un caso che - si dice - sia stato proprio il capostipite del siglo de oro spagnolo a ispirare l'arte di Pablo Picasso, arrivando addirittura a dare al più grande autore del secolo scorso l'idea per una delle sue opere più celebri, le Damigelle d'Avignone. Lo spiega benissimo l'intervento del Sottosegretario di Stato del Ministero della Cultura Vittorio Sgarbi, che durante la conferenza stampa di presentazione della mostra ha detto: «Picasso aveva avuto occasione di vedere, nella casa di un altro pittore spagnolo, un capolavoro di El Greco, che ne ispirò evidentemente la ricerca.

Questa affinità è il simbolo di una forte attualità dell'opera di El Greco. Chi guarda alle sue opere senza conoscerlo non può pensare che sia un pittore del Cinquecento o del Seicento. È sorprendente come due spagnoli, El Greco e Velazquez, siano riusciti a sottrarsi al loro tempo: soprattutto El Greco, sul piano iconografico, ha trasformato il mondo bizantino da cui partiva in un mondo visionario senza tempo. In El Greco c'è una capacità unica di superare le barriere del tempo: sono convinto che sia El Greco che Velazquez siano più grandi di tutti i grandi pittori italiani; una cosa che per un critico come me è difficile da dire. Noi italiani abbiamo la quantità: tanti artisti entrati di diritto nella storia. La Spagna ha pochi grandi artisti, ma sono tra i migliori di sempre».