Cosa dissero i nostri autori preferiti prima di morire?

Da Edgar Allan Poe a Jane Austen, fino al suicidio di Pavese e la morte straziante di Tolstoj: ecco le parole che gli autori pronunciarono prima di morire

Cosa dissero i nostri autori preferiti prima di morire?
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Le ultime parole che pronunciamo potrebbero essere il riassunto della nostra intera esistenza. Sono molte le supposizioni secondo cui il modo in cui abbandoniamo questo mondo sia identificativo di come abbiamo vissuto la nostra vita. Secondo la mitologia greca, e in particolare secondo una massima del legislatore e poeta greco Solone, non bisognerebbe "definire un uomo felice finché non muore".
Una sorta di rituale scaramantico che ci porterebbe a non affrettarci con i giudizi, perché nel corso della vita, a quell'uomo che abbiamo definito "felice", potrebbero capitare migliaia di sventure. Sulla base di ciò, andiamo a scoprire le cosiddette "ultime parole famose" degli scrittori più celebri della storia, coloro che sulla parola hanno fondato il senso della propria vita. Tra perle di saggezza e attimi di concreta umanità, ecco cosa pronunciarono in extremis gli autori più rinomati della letteratura mondiale.

Sparire in un alone di mistero

«Signore, aiuta la mia povera anima!». La morte di Edgar Allan Poe è ancora più misteriosa ed inquietante dei suoi stessi racconti. Il 3 ottobre 1849 lo scrittore fu trovato moribondo su un marciapiede di Baltimora, in prossimità di una sede del Partito Repubblicano. Edgar Allan Poe, stravolto, con gli abiti distrutti e quasi irriconoscibile, era diretto verso Filadelfia per sbrigare alcuni affari quando qualcosa (o qualcuno) deviò il suo cammino.

Lo scrittore fu prontamente ricoverato al Washington College Hospital dove, in preda a deliri e allucinazioni mentali, evocò un uomo di nome "Reynold" prima di arrendersi contro i suoi demoni. Ad oggi, la sua morte viene attribuita all'abuso di alcol. Secondo altri, però, lo scrittore sarebbe stato vittima di "cooping": all'epoca, alcuni agenti elettorali organizzati erano soliti rapire delle persone - di norma non residenti in città - e dopo averle drogate con narcotici e alcol le portavano nei diversi seggi elettorali facendoli votare più volte.

A soli 41 anni, Jane Austen si spense rivolgendo alla propria sorella queste parole: «Non voglio altro che morire». Di salute cagionevole - soffriva del Morbo di Addison - ma dalla storia clinica confusa e poco documentata, la morte della scrittrice inglese ancora oggi desta la curiosità degli appassionati di letteratura. Un'indagine della British Library, però, fa luce su un'ipotesi alquanto sinistra: l'avvelenamento da arsenico.

Dopo lunghi studi eseguiti su tre paia occhiali dell'autrice, un progressivo peggioramento della cataratta potrebbe suggerire infatti l'avvelenamento da metallo pesante, come l'arsenico. Ai tempi di Jane Austen, l'arsenico era presente nella carta da parati e anche in alcuni medicinali.

«O se ne va questa carta da parati o me ne vado io!». Inguaribile esteta, Oscar Wilde non si arrese al cattivo gusto nemmeno prima di morire. Lo scrittore, nel letto di un albergo parigino sulla riva orientale della Senna, ordinò al direttore d'albergo di rimuovere la carta da parati e di ammobiliare la stanza nello stile di uno dei suoi appartamenti londinesi. La richiesta fu soddisfatta, e in seguito lo scrittore si fece portare una bottiglia dello champagne più costoso dell'albergo.

«Presumo che io debba morire al di sopra delle mie possibilità» affermò poco prima di morire. Per anni la causa della morte di Oscar Wilde fu confusionaria, con medici che lo visitarono ben 68 volte. Secondo alcuni studi, lo scrittore era malato di sifilide ma la sua morte avvenne per causa di una banale otite, degenerata in un'infezione più seria a causa di cure inappropriate. Allo scrittore venivano somministrate morfina, oppio e cloralio per combattere il dolore, ma con scarsi risultati: Wilde beveva champagne ogni giorno.

Abbandonare la nave

"Carissimo. Sono certa che sto impazzendo di nuovo. Sono certa che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. Comincio a sentire voci e non riesco a concentrarmi. Quindi faccio quella che mi sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la più grande felicità possibile. Sei stato in ogni senso tutto quello che un uomo poteva essere. So che ti sto rovinando la vita. So che senza di me potresti lavorare e lo farai, lo so... Vedi non riesco neanche a scrivere degnamente queste righe... Voglio dirti che devo a te tutta la felicità della mia vita. Sei stato infinitamente paziente con me. E incredibilmente buono. Tutto mi ha abbandonata tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinare la tua vita. Non credo che due persone avrebbero potuto essere più felici di quanto lo siamo stati noi."


Furono molti, tristemente, gli scrittori che ricorsero al suicidio. Tra i più noti della storia vi è quello di Virginia Woolf, che prima di andarsene, gettandosi con le tasche piene di sassi nel fiume Ouse, scrisse una lettera d'addio al marito. La scrittrice morì a 59 anni, afflitta dall'ennesima crisi depressiva. Qualche giorno prima di morire, si dice che Virginia Woolf avesse profetizzato la sua morte in alcuni scritti. Paragonandosi a un "palo che cammina", la scrittrice descrisse sè stessa con i lineamenti del volto sfigurati, poco dopo aver descritto un paesaggio "alluvionato", con moti d'acqua selvaggi e "grandi tronchi che galleggiano e i grandi stormi di uccelli neri".

«Buonanotte micetto» disse invece Ernest Hemingway a sua moglie, poco prima che lei andasse a dormire. Ma quella sarebbe stata, a insaputa di Mary Welsh, l'ultima buonanotte di suo marito. Quella notte, il 2 luglio 1961, Hemingway si sparò un colpo in testa con un fucile e pose fine alla sua vita. Lo scrittore era stato dimesso pochi giorni prima dall'ultimo degli innumerevoli ricoveri per depressione e allucinazioni. Della morte Hemingway scriveva: «Morire è una cosa molto semplice. Ho guardato la morte e lo so davvero. Se avessi dovuto morire sarebbe stato molto facile. Proprio la cosa più facile che abbia mai fatto...»

«E come è meglio morire nel periodo felice della giovinezza non ancora disillusa, andarsene in un bagliore di luce, che avere il corpo consunto e vecchio e le illusioni disperse». Il suicidio pose fine alla sua vita irrequieta, alternata da crisi depressive e segni di squilibrio mentale, che lo portarono perfino a pensare di essere pedinato dagli agenti federali.

Poco prima di suicidarsi con il gas, la poetessa americana Sylvia Plath scrisse invece una poesia. Icona femminista dalla psiche tormentata, in crisi con un marito che - stando a quanto riportato nei suoi scritti - abusava di lei e la tradiva, Sylvia Plath morì a soli 30 anni.""La donna ora è perfetta. Il suo corpo morto ha il sorriso della compiutezza, l'illusione di una necessità greca fluisce nei volumi della sua toga, i suoi piedi nudi sembrano dire: Siamo arrivati fin qui, è finita. I bambini morti si sono acciambellati, ciascuno, bianco serpente, presso la sua piccola brocca di latte, ora vuota. Lei li ha raccolti di nuovo nel suo corpo come i petali di una rosa si chiudono quando il giardino s'irrigidisce e sanguinano i profumi dalle dolci gole profonde del fiore notturno. La luna, spettatrice nel suo cappuccio d'osso, non ha motivo di essere triste. E' abituata a queste cose. I suoi neri crepitano e tirano."
"

L'11 febbraio 1963 la scrittrice sigillò con il nastro adesivo la porta della camera dei suoi bambini e si chiuse in cucina. Infilò la testa nel forno, con il gas acceso, e si lasciò morire. La sua ultima poesia, "Edge" ("Orlo"), la scrisse un giorno prima.

Scrittore, poeta, traduttore e critico letterario: Cesare Pavese si spense il 27 agosto 1950, a soli 42 anni. Anche lui decise di abbandonare il mondo di sua volontà, in una camera d'albergo a Torino. "Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi" recitava una lettera lasciata sopra al letto. Ma quali pettegolezzi? Forse quelli sulla relazione con l'attrice Constance Dowling, terminata con un'ennesima delusione d'amore. Cesare Pavese, nel corso della sua vita, dovette relazionarsi più volte con il tema della morte, a partire dal suicidio di un suo caro amico del liceo. Dopo aver ricevuto il premio Strega, due mesi prima, Pavese era divenuto l'autore più celebre nel panorama italiano. La sua morte improvvisa scosse tutta la Penisola. In preda a costanti crisi depressive causate perlopiù da grandi infelicità affettive, lo scrittore si suicidò con dieci bustine di sonnifero.
Prima di farlo, però, disse addio alla scrittura, l'unica compagna che non lo tradì mai: "La cosa più segretamente temuta accade sempre... Sembrava facile, a pensarci. Eppure donnette l'hanno fatto. Ci vuole umiltà non orgoglio. Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più".

Al termine del viaggio

«Sono stanco, e devo andare a dormire» disse Allen Ginsberg il 5 aprile 1997, prima di coricarsi. E prima di abbandonare il mondo per sempre, a causa delle complicazioni di un'epatite dovuta a un cancro al fegato. Fu uno dei poeti più significativi della letteratura americana oltre che uno dei padri della Beat Generation, e condusse una vita libertina e piena di eccessi, ben documentati nei suoi scritti. Tra scritti filosofici, poesie sovversive e posizioni politiche sovversive, Allen Ginsberg - una delle "migliori menti della sua generazione" - si spense circondato da familiari e amici nel suo East Village a New York.

Circa sessant'anni prima, a Gardone Riviera, Gabriele D'Annunzio sedeva al tavolo da lavoro nella stanza della Zambracca della Prioria, nel suo Vittoriale. «Sono annoiato, sono annoiato» disse lo scrittore. Alle 20.05 morì a causa di un'emorragia cerebrale che lui stesso, qualche anno prima, aveva previsto in un suo scritto: "La sensazione della corda nel cervello - che è per spezzarsi, che può spezzarsi. Il senso della morte improvvisa".

La sua salute fisica e mentale erano in declino ormai da anni, e lo scrittore era solito vivere nella penombra per nascondere il suo corpo invecchiato alle amanti. D'Annunzio era inoltre fotofobico in seguito a un incidente all'occhio avvenuto nel 1916, e copriva con tende pesanti le finestre esposte alla luce solare diretta.

Il secolo prima, invece, Charles Dickens chiese di essere messo a terra poco prima di morire. Lo scrittore morì il 9 giugno 1870 a causa di un'emorragia cerebrale, che gli provocò uno svenimento. La notizia della sua morte sconvolse migliaia di fan, e il New York Times pubblicò per mesi alcune notizie e storie sulle ultime ore di Charles Dickens, sul suo funerale, le sue volontà e l'asta della sua collezione d'arte.

Al suo funerale nell'Abbazia di Westminster non c'erano "mantelli, fasce, sciarpe o piume", che lo scrittore aveva sempre trovato molto fastidiosi. Come per sua volontà, il corpo di Dickens fu steso all'interno di in una "bara semplice, di legno di quercia". Ancora oggi riposa nell'angolo dei poeti, vicino a Shakespeare, Dryden e Chaucer.

Prima di morire, Lev Tolstoj decise invece di fuggire. Dopo una lettera di scuse alla moglie, lo scrittore sentì il richiamo della fede cristiana e decise di abbandonare questo mondo in una condizione di umiltà. Tolstoj morì nei pressi di una stazione ferroviaria dispersa nella taiga, attorno alla quale accorse la Russia intera.

A causare la morte fu un'infezione respiratoria, che ebbe la meglio sullo scrittore il 20 novembre 1910. Sul letto di morte, poco dopo aver pronunciato i suoi ultimi pensieri sulla fede cristiana, lo scrittore si rivolse alla figlia e disse: «Svignarsela! Bisogna Svignarsela! La verità... Io amo tanto... come loro». Parole pregne di significato ed emozione, degne di una vita intensa.

Ma c'è chi, invece, rinunciò alla grazia di Dio fino all'ultimo suo respiro. Si tratta di Voltaire - all'anagrafe François-Marie Arouet - che dopo il suo ritorno acclamato in patria, affetto da un cancro alla prostata, secondo alcuni amici respinse il sacerdote che lo invitò a dichiarare la sua fede cattolica. «Ora, mio buon amico, non è tempo di farsi nemici» avrebbe risposto Voltaire al prete che gli chiedeva di rinunciare a Satana, sul letto di morte.

Tuttavia, l'ultima confessione scritta di suo pugno recitava queste parole: "Muoio adorando Dio, amando i miei amici, non odiando i miei nemici, e detestando la superstizione". Non fu comunque sufficiente per ottenere l'assoluzione dei peccati, ma Voltaire si rifiutò di scrivere altre parole di fede che sancissero il suo ritorno al cattolicesimo.